A proposito di “Gli alberi raccontano”.
“Gli alberi raccontano” è un piccolo, fragile film d’artista. I suoi protagonisti sono, ovvio, gli alberi. I loro tronchi, rami e foglie narrano la grandiosità della natura, l’incanto del ciclo della vita, la violenza degli eventi. Un cortometraggio in cui i racconti non sono storie e vanno sentiti più che ascoltati: quelle degli alberi sono voci senza parole a cui dedicare tempo e attenzione.
Il film, della durata di 5’ 52”, si nutre della musica del brano “Niji” composto e suonato da Eufemia Mascolo, Pino Basile e Laurent Delforge; vede inoltre la collaborazione di Medea Cornacchia e la partecipazione di Laura Luppi.
Note di regia.
Che cos’è un piccolo fragile film? È un’idea nata con la realizzazione di una serie di plaquette durante la clausura del 2020. Provando a lasciare fuori dalla porta le tensioni della cronaca quotidiana, ho lavorato su temi e autori a cui da sempre faccio riferimento. Fra i primi la comunicazione, la solitudine, il rapporto con la natura e con gli altri; fra i secondi Giacometti, Hopper, Jarmush... Tornando su percorsi culturali a me cari, ho voluto riappropriarmi del fare artistico, di quell’operare con le immagini senza committenza a cui ho dedicato i miei giorni e le mie notti di ventenne, prima di passare alla grafica e alla comunicazione visiva “per altri”.
I piccoli fragili film nascono come riflessione sui temi ma anche sull’azione artistica stessa e hanno nella sottrazione il loro principio. Sottrarre dalle giornate e dalle opere le tante distrazioni, le troppe sollecitazioni; togliere tutto quello che non è davvero necessario, a cominciare dalle voci. Sia i piccoli fragili film che riprendono i cut-up delle plaquette che “Gli alberi raccontano” sono privi di voci umane. Nei primi è il rumore bianco a fare da passpartout alle riprese macro della carta, dei segni e dei ritagli, nel cortometraggio invece è la musica del brano “Niji” — composto e suonato da Eufemia Mascolo, Pino Basile e Laurent Delforge — a dettare il montaggio delle sequenze. Non c’è una trama, non c’è uno svolgimento, non c'è una storia: c’è il farsi, c’è il sentire, c’è l’esserci.
Se nei primi (i cut-up) il tracciato seguito dalla macchina da presa è quello del manufatto, in “Gli alberi raccontano” il tracciato è quello dei rami, dei tronchi, dell’intreccio di quelle magnifiche piante: maestose anche quando sono piccole, meravigliose, misteriose; così tanto da non aver alcun bisogno di parole, di altre voci.
La sfida è questa: andare all’essenziale, concentrarsi. Meno voci, meno immagini, più attenzione.
Dopo aver percorso in lungo e in largo il Parco di Monza, mettendo insieme ore di girato, anche lì alla fine, ho lavorato per sottrazione. Non volevo e non ho voluto raccontare il Parco. Circoscritto a una sua parte molto piccola il raggio di azione, ho messo la macchina da presa in ascolto. Allo stesso modo, delle lunghe sequenze in cui ho ritratto la bellezza preraffaellita di Laura Luppi nel film restano brevissimi dettagli. Un piccolo, fragile film è (anche) questo: un frammento con l’ambizione di suggerire il resto.
Alla sottrazione, per fortuna o purtroppo, sfuggono le citazioni più o meno esplicite, più o meno consapevoli. A chi avrà voglia di guardarlo il piacere di giocare a riconoscerle.
Si impiega molto tempo delle nostre vite ad accumulare (oggetti, ricordi, parole), sottrarre ne richiede altrettanto, ma quello che si è vissuto si è vissuto. Anche dopo i titoli di coda.
Un momento delle riprese, foto di Medea Cornacchia
Si consiglia caldamente la fruizione su schermo grande e con la cuffia.
Agosto-settembre 2020